Dove sta il limite by Raja Shehadeh

Dove sta il limite by Raja Shehadeh

autore:Raja Shehadeh [Shehadeh, Raja]
La lingua: eng
Format: epub
ISBN: 9788858430521
pubblicato: 2019-10-20T22:00:00+00:00


Capitolo ottavo

Ponte di Allenby

1992

Io e Penny stavamo rientrando a Ramallah da Washington insieme alla delegazione palestinese, stanchi e di cattivo umore dopo un anno di inutili trattative con la delegazione israeliana, nonostante fossero iniziate con grandi speranze l’anno prima. La Conferenza di pace di Madrid del 1991 aveva riunito rappresentanti di Israele, Giordania, Libano, Siria e dei palestinesi ed era stata seguita da negoziati bilaterali tra Israele e una delegazione congiunta giordano-palestinese a Washington. Quello che non potevamo sapere e che non avremmo scoperto fino al 1993, era che i negoziati segreti in corso a Oslo tra Israele e l’Olp avrebbero portato a un accordo tra le due parti.

Avevamo completato le formalità della frontiera giordana del ponte di Allenby, che collega le due sponde del Giordano, e aspettavamo che i soldati israeliani ci dessero il segnale per passare il confine, quando un giovane soldato dell’esercito di Giordania, un tipo vivace, montò sul primo scalino del minibus. Non ne vedevamo che la testa. Aveva capelli corti e baffi folti.

– Quelli sono i soldati israeliani? – chiese, indicando due militari sul lato israeliano del confine. Avevano i capelli lunghi e scompigliati e camminavano col passo pesante. Sembravano assenti, sfiancati dall’opprimente caldo dell’estate.

– Sono quelli i loro soldati? – ripeté. – Quelli? Ne potrei schiacciare una dozzina a mani nude.

Si girò verso di noi e ci strizzò l’occhio. Aveva un sorriso soddisfatto, di superiorità, sul viso, un’aria trionfante negli occhi scuri. Poi saltò giú dal minibus e ci salutò con la mano, dicendo: – Assalam alaikum [La pace sia con voi].

I soldati che ci avevano dato l’ordine di avanzare scomparvero e procedemmo con gran fracasso sul vecchio ponte traballante, sotto di noi le tavole sconnesse di legno sostenute dalla struttura metallica che si stendeva a varcare uno dei corsi d’acqua piú turbolenti del mondo. Eravamo sulla via di casa.

Khalid, le cui guance tonde sembravano gonfiate con una pompa da bicicletta, scese dal minibus per primo, seguito da tutti noi. Eravamo accompagnati da un facchino giordano, che aveva impilato i nostri bagagli su un carrello. Lo tirò fino al punto in cui c’era una barriera di metallo gialla in fondo al ponte e attese. Non potevamo procedere oltre finché i soldati israeliani non fossero venuti a scortarci. Aspettammo, ma non si vide nessuno. Mi sporsi dal parapetto e guardai il Giordano sotto di me.

Ricordo di aver visto una fotografia scattata circa cent’anni fa, di un uomo che avanza in barca a remi su quello stesso fiume. Allora era molto piú ampio e i rami degli eucalipti lungo le rive sporgevano sull’acqua. Da quando ho visto questa fotografia, ho sempre desiderato di andarci anch’io in barca, un giorno, una volta bonificate le mine e rimosso il filo spinato, quando il fiume sarebbe ritornato a quello per cui veniva usato un tempo: irrigazione per i contadini, svago per i turisti e riserva per rimpinguare le acque calanti del Mar Morto. Ma al punto in cui erano le trattative tra israeliani e palestinesi, sembrava un’eventualità improbabile.

I soldati israeliani non uscivano ancora per scortarci.



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